Di acqua, sotto i ponti, ne è passata davvero molta da quando, nell’ottobre del 1994, HotWired.com (l’attuale Wired) pubblicò il primo banner pubblicitario, che quest’anno compirà dunque la bellezza di 25 anni. Oggi, guardando a quel primo esempio di banner, ci sarebbe da inorridire, sia per quanto riguarda la grafica che per quanto concerne il copy utilizzato. Del resto, non c’è da stupirsi: il mondo della pubblicità online, da allora, si è evoluto moltissimo, in molte direzioni. Google Ads e Facebook Ads ne sono i principali esempi, e nessuno, negli anni Novanta, avrebbe mai potuto immaginare qualcosa di simile! Parlando più propriamente di banner, però, oggi non si può guardare al mondo della pubblicità del futuro senza parlare del programmatic advertising. Ne hai mai sentito parlare?
Si tratta, in parole estremamente semplici, di pubblicità ‘automatizzata’, e quindi di spazi pubblicitari online scelti e acquistati non da umani, bensì da software specializzati proprio nell’individuazione dei più efficaci banner in base all’analisi del comportamento degli utenti sul web.
Ma come può essere che un software possa capire meglio di un umano qual è la posizione migliore per una pubblicità che, in fin dei conti, è destinata ad altrettante persone in carne e ossa? Per capirlo, dobbiamo guardare il programmatic advertising più da vicino, per scoprirne il funzionamento.
Cos’è il programmatic advertising?
Gli esperti di web marketing parlano di programmatic advertising già da alcuni anni: per un non addetto ai lavori, però, capire come funziona questa compravendita automatizzata di spazi pubblicitari non è semplicissimo. Va dunque specificato che, con il programmatic advertising, tra chi compra gli spazi (ovvero l’advertiser) e chi li vende (il publisher) si posizionano tre elementi fondamentali, ovvero la DMP, la DSP e la SSP. Questi acronimi sono tutto fuorché intuitivi, e possono dunque scoraggiare chiunque dal proseguire con la scoperta di questa forma di pubblicità online. Tu, però, non devi avere timore: si tratta, in tutti e tre i casi, di piattaforme. Nello specifico:
- La DMP è la Data Management Platform, ovvero la piattaforma che ha il compito di analizzare i big data relativi al comportamento degli utenti online, così da estrapolare tutte le informazioni necessarie per poi targetizzare le campagne pubblicitarie su utenti potenzialmente interessati;
- La DSP, ovvero la Demand Side Platform, è la piattaforma con la quale si interfacciano gli advertiser, ed è dunque qui che vengono acquistati gli spazi pubblicitari;
- Il terzo elemento, come anticipato, è la SSP, ovvero la Sell Side Platform, utilizzata dai publisher per vendere le proprie unità pubblicitarie. Di fatto, la SSP costituisce il vero e proprio marketplace del programmatic advertising, ed è qui che vengono definiti i criteri di vendita.
Programmatic advertising: vantaggi e svantaggi
Il programmatic advertising presenta parecchi vantaggi, ed è proprio per questo che sono sempre di più gli advertiser e i publisher che si avvicinano a questo mondo. Se si volessero sintetizzare in sole tre parole i pro di questo nuovo modo di fare pubblicità online, si potrebbe dire che il programmatic advertising è più efficace, più conveniente e più targetizzato. Ma sono davvero tutte rose e fiori? Andiamo un po’ più nello specifico!
Indubbiamente, il programmatic advertising permette una gestione più veloce degli spazi pubblicitari. Pensa al singolo advertiser: grazie a queste piattaforme, non è più costretto ad acquistare importanti quantità di impressions indifferenziate. Nossignore, grazie alla pubblicità automatizzata egli ha oggi la possibilità di pianificare l’acquisto solo per target specifici. Ne consegue dunque che chi si occupa di creare e gestire delle campagne pubblicitarie online ha la possibilità di ridurre sensibilmente le proprie spese, pur intercettando un pubblico più selezionato, e quindi potenzialmente più incline ad acquistare i servizi e i prodotti promossi.
I pro, però, non sono limitati ai soli advertiser. Anche i publisher possono trarre vantaggio dal programmatic advertising, andando a trovare nuovi possibili acquirenti per i propri spazi liberi e non acquistati, con un dispendio minimo di tempo.
Fin qui, le rose. E per quanto riguarda le spine, e dunque gli svantaggi? Come anticipato, esistono. Per via della mancanza di un vero regolamento relativo al pricing, i publisher non sufficientemente competenti o attenti possono veder diminuire la propria revenue, a vantaggio di advertiser accorti e spregiudicati, capaci dunque di acquistare spazi pubblicitari altamente efficaci a prezzi estremamente ridotti. Va peraltro sottolineato il fatto che i publisher non hanno alcuna reale garanzia di vedere venduta tutta la propria inventory.
Dal punto di vista degli advertiser, non si può non evidenziare il fatto che il programmatic advertising tende a eliminare dai giochi tutte quelle piccole aziende le quali, potendo contare su budget limitati, non avranno mai possibilità di acquistare spazi da publisher di alto livello.